Inchiesta Cuba, italiano: “Trent’anni fa era così, non è cambiato niente anzi…”

Abbiamo raggiunto un italiano che preferisce rimanere anonimo e che in questi giorni di grande fermento a Cuba ci ha raccontato la città circa trent’anni fa.

Cuba (Getty Images)

Le sue parole non trovano migliore spiegazione per un approfondimento: “Sono andato a Cuba per la prima volta venticinque anni fa. C’era ancora la Cortina di Ferro, il Muro di Berlino, la Guerra Fredda. C’erano agenzie tradizionali all’epoca e il venditore mi disse che ero pazzo per andare, non c’erano connessioni per l’embargo, sanzioni poste dagli americani. Dovetti andare a Berlino est dal lato sovietico e lì con una compagnia russa “Interflug” trovai il volo diretto. Già prima di partire alloggiammo in un albergo ed eravamo monitorati da agenti di intelligence, era chiaro ed evidente. Per uscire dall’hotel dovevi aspettare che qualcuno ti aprisse le porte, eri controllato a vista. Partimmo verso Cuba, feci scalo tecnico in Canada che è sempre stata più neutrale e accettava l’aereo sovietico”.

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L’arrivo a Cuba

Cuba (Getty Images)

Quest’uomo italiano sui 60 anni racconta quell’avventura: “Arrivati a La Havana c’era lo stesso protocollo di sicurezza di Berlino, controllo passaporto neutrale, avevi una porta per entrare e per uscire da questo box comandate da bottoni dall’interno. Una volta dentro c’era uno specchio sopra la testa e uno sotto alle ginocchia. C’era dalla porticina un funzionario che controllava i tuoi movimenti e le tue espressioni. Cuba metteva all’epoca un timbro normale sul passaporto, poi per evitare problemi con il passare degli anni perché se dovevi andare negli Stati Uniti avevi dei problemi. Usciti da questo gabiotto c’era un controllo con il money change, davi i tuoi dollari e ti davano il pesos cubano che era come carta come quelle del Monopoli. Una volta che le cambi le devi spendere perché quando vai via non te li ridanno i dollari. Quindi quello che restava lo regalavi a chi ne aveva bisogno”.

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Un conto era andarci in vacanza, un conto viverci: “Per chi andava in vacanza era interessante perché non costava niente. Facevi cambio a nero ti davano valige di soldi loro, era una favola. Sono stato quattro volte ed è sempre stato peggio, l’ultima volta non c’era da mangiare e non c’era la luce. L’aereo sembrava che atterrasse nel mare. Per noi che andavamo sembrava un paradiso per il cambio, ma per chi ci viveva era un inferno. All’epoca c’era solo una compagnia di noleggio mobili Havana Autos che era dello Stato e in fondo continuavi a pagare loro. L’auto aveva un’etichetta sul vetro in alto dove ora le macchine hanno la sfumatura, quando camminavi per strada da ogni angolo capivano che era arrivato il turista. Negli ultimi due anni la situazione è tracollata per via del mancato turismo che portava appunto i dollari e l’euro. Una delle cose che mi terrorizzò mi porta a pensare a un signore che si avvicinò con una bambina, la figlia, e mi disse: “Fanne quello che vuoi, ma portala a mangiare”. Ovviamente lo aiutammo senza pretendere nulla in cambio e ci ringraziò all’infinito. Fu terribile solo ascoltare la sua disperazione e ancora oggi quel racconto mi fece del male”. 

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